FRANCESCO RIZZO

« Older   Newer »
  Share  
fademaster
icon10  view post Posted on 22/2/2012, 00:08     +1   -1




Copertina e mappa su
www.zurjan.wordpress.com

_________________________________________


L’ARCO DI AURION

Due erano i regni a prosperare sul grande continente chiamato Arco di Aurion, separati dallo sconfinato deserto centrale dell’Impugnatura. Entrambi i loro popoli pensavano di vivere sull’unica terra esistente, e che il deserto fosse la fine del mondo conoscibile.
Sul versante settentrionale, rigoglioso di balfourianae dai tronchi ritorti, c’era la terra di re Atroch Áttoil, abitata dagli umani: sia il regno, sia la sua capitale affacciata sulla costa nord-est si chiamavano Áttoil e secondo un ironico proverbio di quelle parti, un giorno anche l’aria e l’acqua avrebbero portato quel nome.
Nel regno di Áttoil, oltre alla terra che cingeva la capitale, c’erano diverse regioni, con diverse etnie predominanti, le une diversamente povere dalle altre: sul versante occidentale, c’era il Sigis, una terra di abeti e poche coltivazioni, dalla quale venivano spesso uomini scaltri e resistenti; a nord-ovest, verso la punta, c’era il Dònafin, una terra immersa in un clima freddo, ma graziata dalle sue innumerevoli sorgenti termali; alla punta nord c’erano territori tanto freddi e inospitali da essere stati semplicemente chiamati “la Fine”; tutti i territori a sud della capitale venivano chiamati Maitnenorvar, cioè “rifugio dei ricercati”.
Nella zona meridionale dell’Arco viveva il Re nano Ruuv Ruur e la sua città-miniera nell’entroterra dominava la catena montuosa di Ghwnohm, lucente di neve tutto l’anno. Ugualmente modesto, anch’egli aveva imposto il suo nome al suo regno e alla sua capitale. I due popoli navigarono sempre sottocosta, per timore dei mostruosi dominatori del mare, così un giorno si scoprirono a vicenda.
Il tempo di un tramonto, e fu guerra.
Ma un’altra guerra, antica e nascosta, tendeva la corda dell’Arco da millenni…

GLI SCALATORI

Anno 3384, Annysendon, città principale del Sigis.

In quella città, che di notte appena si distingueva dalle foreste che la circondavano grazie alle sue sparute lanterne, appariva tutto molto calmo.
«Anche tu sul bel tempio di Annyse? – sussurrò una figura incappucciata sul tetto dell’unico tempio della piccola città – Come mai quassù, questa notte? Non c’è forse abbastanza divertimento giù alla cantina dell’acquavite?».
Un ragazzo dai capelli ricci dal colore indefinito per l’oscurità, forse rossastri, rispose con voce smorzata.
«Io sono qui, e tu di certo non stai raccogliendo muschio dalle statue, né guardando le stelle – era chiaro, per via delle troppe nubi –. Facciamo in fretta, sono pronto».
«E se io fossi semplicemente un ladro che osserva la casa del conte da quassù? Che cosa ti fa pensare che non ti pianterei un coltello nel petto?».
Il giovane s’acquattò con la mano sinistra poggiata sulle tegole e la destra levata in avanti, già armata di stocco.
L’uomo non si scompose: «Bene. Puoi rimetterla a posto. Ricordati che non c’è una risposta giusta. La prima domanda della tua prova: chi?»
Il giovane rimase in posizione e rispose senza smetter di puntare l’uomo.
«Tutto: tutto vive, tutto è un “chi”».
«Quindi la natura è la risposta. Bene. Dove?».
«In alto, in un luogo isolato, dovunque si possa ritrovare il respiro».
«Bene. Che cos’è questo posto?».
«É dove gli uomini spaventati dagli animali selvaggi trovano conforto. É uno stanzone in cui si vuole far credere che la lenta e costante distruzione della natura sia l’unico destino possibile; un continuo tentativo di dare peso a parole vuote con l’imponenza di statue e affreschi».
«Bene, mi sorprendi. Ora un’altra domanda, non collegata a quella di prima: come?».
«Il come è il mio scopo».
L’uomo si mise una mano sul mento, rivelando un anello d’argento sbalzato con foglie d’edera e rispose:
«Il come era anche il mio scopo, quando ero un giovane druido, estasiato di essere nel mio stato di grazia dovuto alla magia, a quel meraviglioso “come”. Ma capirai che ciò porta solo ad una vita casuale. Mi va comunque bene come risposta. Ora, rispondi a quest’ultima domanda: quando?».
«Guarda il nemico negli occhi: sarà la sua debolezza a dirti quando. Nel frattempo aspettalo e difenditi senza contrattaccare».
«Una risposta tutt’altro che universale, al contrario delle altre. Hai forse smania di uccidere qualcuno in particolare?».
«Sì, tu, traditore».
Nel buio nessuno dei due capì molto al primo attacco, ma appena i loro corpi entrarono in contatto reciproco, fu tutto un gioco, un terribile gioco, di percezione dei movimenti dell’avversario. Non bisognava strafare, bisognava solo evitare di commettere errori. Entrambi lo sapevano bene. In quelle condizioni, con lo stesso tipo di allenamento, avrebbero potuto combattere all’infinito. Simmetricamente si piegarono e contorsero ed entrambi si ritrovarono a spingere la lama dell’altro contro le tegole. Le spezzarono praticamente all’unisono.
Il giovane sussurrò: «Questa è la mia iniziazione, e già scopro che il mio maestro d’entrata è un traditore: il culto degli sca…».
Gli arrivò un pugno in faccia e per un attimo ebbe un bagliore negli occhi, per l’urto.
«Non nominarlo mai. – gli animi ci misero poco a placarsi, anche perché nessuno dei due voleva essere scoperto lassù – in queste condizioni potrei buttarti giù. Il semplice fatto che ti sto risparmiando dovrebbe dirti molto sulla mia colpevolezza».
Il ragazzo non riuscì a guardare il suo avversario negli occhi per il dolore, ma trovò la forza di sussurrare:
«Ma io ho trovato le prove, i piani per i cannoni nei ventisei fogli. Erano nella tua carrozza, nel doppiofondo con i tre buchi di tarlo. Non dovremmo essere contro i progressi della tecnica, noi? Come lo spieghi che…».
L’uomo fece un mezzo sorriso d’orgoglio e abbassò ancor più la voce, al limite dell’udibile.
«Shhh… così mi costringi a spiegarti tutto, togliamoci di qui. Benvenuto tra gli Scalatori, caro Fadek».

IL SUONO

Quattro anni dopo. Molto, molto più in basso.

Una mattina un elfo marino disse:
«Hai sentito di Zurjan? Pare che ormai sia diventato vecchio: gli altri dominatori del mare non lo temono più. Un tempo avrebbe distrutto un galeone con un solo morso, ma adesso…».
«Lo faranno a brandelli, – gli rispose un altro con una risatina – ma non credo che assisteremo allo spettacolo. In questo mare sono secoli che non si vede».
«Per questo ti ho detto che qui non troveremo nulla».
«Io resto fiducioso, magari in qualche anfratto… perlustriamola bene, questa grotta. Ferma, forse ho visto un pezzo d’oro».
La grotta si sigillò: file di denti bianchi, affilati e sanissimi erano i suoi cancelli.

Negli abissi viveva Zurjan, il più grande e antico di tutti gli squali del mondo di Erön. Le sue cicatrici erano le uniche a poter raccontare la sua lunga storia di fierezza.
Dopo aver assaporato i primi elfi della giornata, il predatore uscì dal suo nascondiglio preferito e si nascose in una selva filante di sargassi.
Rimase in attesa; i tempi del mare.
***
Il muso di un cetaceo grosso la metà di lui spuntò alla sua destra.
“Capodogli… ne ho perso il conto. Ricomincerò da questo” pensò la bestia. Intanto la sua preda lo vide, così egli scosse la sua mole colossale e scattò in un morso fulmineo.
L’agganciò e la portò facilmente sul fondale, dove la spinse contro gli scogli, già carcassa. Fu divorata quasi tutta nel rosso della frenesia.
L’ultima costola rimase incastrata con ancora dei brandelli nel letto del mare.
Il dominatore la strattonò, inarcandosi tutto.
Pezzi di roccia saltarono via, seguiti da sbuffi vorticanti di sabbia e sangue, e Zurjan sentì un debolissimo tintinnio spandersi dalla spaccatura che si era appena formata.
Si avvicinò, si mise in ascolto.
L’eco lontano di suoni indefiniti.
Usò tutti i suoi sensi e capì che in quel punto il fondale era un sottile strato di roccia che avrebbe potuto nascondere una grotta.
Per la prima volta nell’ultimo millennio, il predatore si dimenticò di finire la sua battuta di caccia, si allontanò dalla spaccatura volteggiando di qualche metro e guizzò contro di essa, colpendola col muso.
Quel tetto roccioso crollò e si aprì un varco: era effettivamente una grotta ampia e molto profonda e Zurjan fu contento di averci visto giusto.
Entrò seguendo il cadere dei detriti e lentamente l’eco risultò più nitida.
L’aveva già sentita negli abissi più inaccessibili e non vi aveva dato peso; quel giorno, invece, si sentì allo stesso tempo respinto e attratto da essa.
Lo squalo si fermò a pensare: nella sua lunga vita aveva esplorato tutti gli oceani, ma non era mai andato sotto di essi.
Si voltò a guardare verso l’alto: qualche alone biancastro sfocato.
“Altri capodogli”. Pensò annoiato.
Ormai non gli dava più alcuna soddisfazione attaccarli, tant’era diventato forte, così si tornò a guardare verso il basso.
Laggiù trovò un antro corallino abitato da gamberi, con alghe cangianti dal verde al blu che non aveva mai visto. Più a fondo si snodavano altre grandi cavità ed egli iniziò ad esplorarle, senza fretta, seguendo l’eco.

***

Dopo mezza giornata giunse in una zona ricca di sorgenti sulfuree ribollenti; spargevano una polvere che ammantava le rocce e c’erano milioni di piccole creature luminescenti attaccate ad esse.
Un ticchettio grattò gli scogli e si sovrappose a tratti al bel suono.
Zurjan si fermò e la sua esperienza gli suggerì:
“Deve essere un crostaceo grande meno della metà di me, forse è un dominatore. Si sta avvicinando troppo in fretta. Ma forse sta solo scappando da un pericolo. Se si avvicina ancora, lo attacco prima io”.
Il ticchettio si fermò e Zurjan smise di avanzare.
Poi sentì una serie di sibili modulati nel linguaggio degli abissi provenire dal basso:
«Che cosa speri di trovare nelle mie grotte?».
Senza capire perché, Zurjan perse lucidità, di colpo; ciononostante riconobbe chi aveva di fronte da quella sola frase.
I versi rochi e profondi dello squalo fecero tremare i coralli e smuovere il sabbione attorno a lui:
«Devi essere Tolat, colui che chiamano l’Arconte Gran Chela, padrone delle sorgenti sulfuree a oriente del grande Arco. Io ho qualcosa da fare e per giunta sono sazio. Scostati. Non ti attaccherò».
Come Zurjan, Tolat il granchio era un dominatore: una delle grosse creature marine nate dalle viscere dell’oceano in un tempo senza nome. L’Arconte non uscì allo scoperto: solitamente le sue chele robuste e la sua spessa corazza gli bastavano a difendere i suoi possedimenti dai più temibili avversari, ma in quel caso gli sarebbero servite a poco. Per sua fortuna la forza fisica non era il suo più grande pregio: esso poteva leggere i pensieri delle creature nelle sue immediate vicinanze e sopire i loro più feroci istinti: abilità fondamentali in quel calmo mondo pieno d’insidie.
L’Arconte era vicino al Re dei mari e stava già usando entrambi i suoi poteri, rimanendo immobile per non sprecare le forze.
“Vediamo se il pesce abbocca” pensò e, avido d’informazioni, prese il coraggio di schioccargli:
«Hai sentito di quell’elfo che ha perso tutte le sue… ricchezze?».
Sentendo quell’ultima parola, Zurjan pensò istintivamente a una delle sue tane dove teneva nascosti alcuni manufatti da guerra intrisi di magia. Tolat intravide quell’immagine mentale e ne fece tesoro.
Ovviamente nessuno dei due bestioni poteva brandire a dovere una spada o indossare una corazza, ma una cosa era certa: se tutte le razze di mare e di terra bramavano tanto quelli oggetti luccicanti, loro dovevano averli.
Era una brutale questione di autorità tra creature d’intelligenza superiore.
Zurjan si innervosì perché sapeva che ci doveva essere un trucco dietro a quella domanda. Non capì precisamente quale trucco fosse e si innervosì, dapprima sommessamente.
Tolat se ne avvide subito e prese a spremere al massimo il suo potere per placare il bestione. Tremò per la fatica, ma nella sua fredda mente non esisteva la paura di fallire: solo la determinazione di riuscire.
Così lo squalo si sentì più intontito di prima, si allontanò dall’Arconte Gran Chela e tornò a seguire l’eco, che intanto accennava una semplice melodia. Cercò varchi e ne creò di nuovi, rompendo scogli e coralli.

***

Passò giorni e giorni in viaggio tra le grotte. Superò sorgenti sempre più calde, al limite del sopportabile.
La melodia gli entrò nelle ossa crescendo in nitidezza, dandogli la forza per resistere.
La vide per un attimo. Era un vibrante insieme di punti e linee, di finissime curve elegantemente frastagliate e brillanti di tutti i colori, che spariva nel momento in cui lo si osservava direttamente.
Lo squalo si soffermò a spiare con la coda dell’occhio le forme create dalle linee, senza molto successo.
Fu distratto da una medusa filante di luce propria, ma la perse subito di vista.
“Che strano, era proprio qui sotto ai miei occhi” pensò.
Continuò in caduta libera.
Molto tempo dopo, non trovò più alcuna forma di vita e poco a poco il bollore delle sorgenti cessò.
***
Oltre al complesso di sorgenti, l’acqua si rivelò fresca e limpida. Gradualmente le sue correnti divennero un lento e continuo turbinio cromatico di forme gentili attorno allo squalo, si evidenziò il più bello dei suoni e si modulò nella più bella musica. Le sue strofe e le sue immagini continuavano in profondità.
A quel punto Zurjan prese a nuotare di buona lena per andare a scoprirne il proseguo.
Rumori insoliti apparvero con chiarezza crescente.
Lo squalo aveva origliato qualcosa di simile nelle rare occasioni in cui era andato sotto costa: erano rumori di cannoni, di portoni che si aprono, di carri in viaggio, di frecce che saettano e di spade che s’incrociano; erano voci, canti e applausi.
Fu avvolto dal morbido suono colorato e fu liberato da tutta la stanchezza, tanto che gli sembrò di poter iniziare un nuovo viaggio in quello stesso istante.
Sentì le terre emerse vicine, vicinissime, e fu preso dalla voglia di avvicinarvisi con tutto se stesso.
Per un attimo s’immaginò adagiato sulla terraferma a parlare con uomini a cavallo e in quel contesto non lo stupì affatto, per quanto quel pensiero gli sarebbe solitamente sembrato strano.
Pensò alla sua situazione e si rese conto che il canto del “Vortice sereno” la descriveva perfettamente. Solitamente gli elfi marini lo intonavano durante i rituali legati alle nascite o alle vittorie in battaglia.

“Al punto più lontano dal cielo
il peso degli oceani proviene da ogni lato.
Torneremo alla meta, al Vortice sereno,
il suono luminoso, avvolgente, profumato.
Vita, madre dei mari di ogni costa,
nuoteremo nella tua forza,
nuoterai nella nostra”.
“Vortice sereno”, strofa I

Si sentì finalmente parte della storia di quel popolo che aveva spiato per secoli, parte del “suo” popolo, e non più solo una sciagura; ma la sua mente selvaggia non riuscì a comprendere a pieno il cambiamento che stava avvenendo in lui.
Prese una direzione a caso e iniziò la sua lunghissima risalita, mentre quei colori dipingevano un nuovo destino in ogni fibra del suo corpo.



***



Lunghi giorni si avvicendarono.

Gli elfi marini della colonia corallina di Salavyth ebbero una terribile sorpresa e anche Zurjan.

Attraversata da un fittissimo banco di pesci in fuga, Najinka, una giovane elfa dai capelli porpora, vide l’enorme dominatore quando era ormai troppo tardi per fuggire.

«Benvenuto, Re dei mari. Una flotta di umani è appena passata qui vicino. Hanno reti tanto grandi da poterti impensierire».

Disse lei, contraendo le gambe al massimo per non tremare.

Aveva solo bisogno di qualche istante per raccogliere le forze e lanciare un incantesimo accecante, per poi scappare.

Il vasto predatore fiutò l’inganno di Najinka, spalancò le fauci e ne fece il suo primo pasto da giorni, ma subito esso si contorse per il dolore, come se qualche creatura lo avesse appena dilaniato a sua volta. Volteggiò rapidissimo per guardarsi attorno, cercando un avversario alla sua portata.

Il dolore sparì del tutto con rapidità innaturale, così egli riuscì a riprendere il controllo, ma scappare non era un’opzione per lui; così perlustro la zona e scorse un elfo che lo guardava impietrito, nascosto tra i coralli.

Entrambi avvertirono lo stesso profondo terrore in quell’istante.

Zurjan si fiutò attorno sorpreso e pensò:

“Nessun dominatore nei paraggi”.

Guardò nuovamente l’elfo. Più lo puntava, più si sentiva a sua volta minacciato.

“Minacciato così?! Da quell’elfetto?!”.

La sua frustrazione esplose in un ruggito:

«Che incantesimo è mai questo? Rispondi!».

Vide l’elfo scappare ed ebbe subito la sensazione di avere due braccia e due gambe e di muoverle ritmicamente.

“Ma che cosa…?”.

Per un attimo si sentì incapace. La paura di non riuscire più a cacciare sopraggiunse rapida, facendolo raggelare sul serio per la prima volta. Attese immobile di riprendersi dalla confusione e dal dolore e reagì all’imprevisto:

“L’Arconte Gran Chela è l’unico dominatore del mare con cui ho mai parlato senza poi attaccare, quindi potrei considerarlo un amico. Forse potrà darmi qualche consiglio. I miei smeraldi come compenso basteranno”.

Edited by fademaster - 7/3/2012, 00:55
 
Top
view post Posted on 29/7/2016, 16:55     +1   -1
Avatar

Advanced Member
★★★★★

Group:
Member
Posts:
4,812
Reputation:
0
Location:
Lunigiana-Podenzana

Status:


Up
 
Top
1 replies since 22/2/2012, 00:08   133 views
  Share